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personaggi:bingo

Bingo "Gavroche" Sottocolle

… May it be the shadow's call
Will fly away
May it be you journey on
To light the day
When the night is overcome
You may rise to find the sun…

Quando la ragazza aveva iniziato a cantare, dopo pochi istanti nella locanda era sceso il silenzio. La sua voce riusciva a far sentire un fremito a chi l’ascoltava. L’accompagnamento del flauto traverso era un piacere per le orecchie e arrivava fino al cuore di chi l’ascoltava. Marcel si stava gustando la scena compiaciuto, perfino il nano seduto al bancone aveva smesso di raccontare le su improbabili imprese, aveva posato il boccale e stava ascoltando in silenzio. Sua figlia era splendida, i lunghi capelli corvini scendevano fino a sotto le spalle. I suoi occhi blu erano del colore del mare, o almeno questo era quello che raccontavano i pochi mercanti che l’avevano visto. Forse era abbastanza grande per essere concessa in sposa? Ma a chi? Si erano già fatti avanti nobili, soldati, mercanti. Ma aveva sempre detto di no. Era la sua bambina…

Travolto da questi pensieri, Marcel posò gli occhi sul piccolo hobbit che stava suonando il flauto. Forse conoscere quel piccolo e insignificante mezz’uomo era stata una delle maggiori fortune della sua vita. Lo vedeva, seduto a terra con le gambe incrociate, con il suo caschetto biondo e quegli occhi azzurri da furbetto. Anche in questa occasione, come al solito, nessuno sembrava accorgersi e dare importanza a quella piccola creatura, sopraffatti da tutto il resto. Eppure ne era convinto, quel piccoletto aveva qualcosa di Speciale. Erano pochi mesi che lo hobbit si dilettava con quello strumento e i risultati erano molto buoni. Gli aveva dato un buon consiglio, anche suonare uno strumento musicale poteva essere una buona copertura…

Lo ricordava come fosse ieri, il giorno in cui lo hobbit entrò nella sua locanda. Era una stramaledetta giornata di inverno di qualche anno fa, una di quelle giornate in cui la pioggia sembrava scendere senza voler smettere mai. Uno di quei giorni in cui la Bretonnia, la sua terra, gli mancava terribilmente. Lo aveva scambiato per un bambino, poi si rese conto che era un mezz’uomo. Chi altro potrebbe andarsene a piedi nudi in una giornata come quella? Il piccoletto aveva visto in piazza l’annuncio che Marcel aveva messo pochi giorni prima. Gli serviva un aiutante per la locanda, da quando era morto il vecchio Oleg era tutto sulle sue spalle e su quelle della sua piccola. “Ciao Marcel”, esordì il mezz’uomo. “Sei tu Marcel? Ma perché hai dato alla locanda il tuo nome e non l’hai chiamata, che so, L’acero, o Il bianconiglio? Nel Convivio alle locande non diamo i nomi delle persone! Sono locande, non persone!”

“Si, sono io Marcel, e se vuoi lavorare qui, sarà meglio che tu non faccia troppo lo spiritoso…” Marcel deglutì, alla fine era la prima persona, o cosa, o quello che era, che si presentava per quel lavoro. Non ne sapeva molto di Hobbit. “Beh, se non sei il primo mezz’uomo che non sa cucinare e se sai lavare i pavimenti, posso prenderti in prova per un mese. La paga è il vitto e l’alloggio. Poi ne potremmo discutere”. Lo hobbit, con il suo viso innocente, non gli lasciò l’ultima parola: “Bene C A P O. Ma la prova durerà una settimana, poi parleremo della mia paga. Non mi va di lavorare gratuitamente”.

Sua figlia Alice fu entusiasta del nuovo arrivo. Nonostante le apparenze, il piccoletto si dava molto da fare e la qualità delle pietanze era decisamente migliorata. Era vero quanto dicevano, gli Hobbit in cucina avevano un tocco speciale, anche preparando una semplice torta di mele, riuscivano a dargli un qualcosa di particolare. Marcel era ovviamente molto contento, ma le sorprese non erano ancora finite…

La locanda di Marcel si trovava a Linz, una piccola città ai margini dell’Impero, quasi ai confini con la Bretonnia. Era sulla via principale verso il passo sul confine. Transitavano parecchie carovane e i clienti non mancavano. Ma non era di certo la locanda a permettere a Marcel di non aver problemi economici. Infondo, ormai molti anni fa, quella era semplicemente la sua copertura. Poi forse ci aveva preso gusto a giocare a fare l’oste e la locanda riusciva a dargli delle soddisfazioni.

Il gioco era semplice. I mercanti si fermavano in locanda, Marcel o involontariamente la sua ignara figliola raccoglievano le informazioni, e poi Marcel si preoccupava di “alleggerire” il carico. O la notte stessa, o sulla via verso il passo. I modi erano diversi, ma se non si esagerava, il risultato era garantito. Di giorno Marcel, di notte diventava il Corvo, così lo chiamavano nella Gilda.

Gli tornò in mente quella sera. Sembrava una sera di una giornata come molte altre, Marcel aveva deciso che era ora di arrotondare. Mercanti Bretoni e dei dipinti. Tutto molto facile. Stava chiacchierando con Alice per sapere qualcosa di più, quanta scorta avevano, quanta merce trasportavano. Come spesso capitava, come dal nulla comparve il mezz’uomo che elenco con precisione a Marcel il nome del mercante, della sua scorta, come erano armati e quanti preziosi trasportavano. Marcel era raggiante. Come aveva potuto essere così stupido? Quel piccoletto non lo notava nessuno, nessuno faceva caso e dava peso a lui. Poteva tranquillamente scoprire molte informazioni, diminuendo ulteriormente i rischi. La decisione fu presto presa. Avrebbe sfruttato quel piccoletto, un po’ come faceva con Alice. Ma il piccoletto non finiva mai di stupirlo…

Il piano era ben congeniato, la carovana lasciava un solo uomo di guardia che sicuramente si sarebbe addormentato. Il sonnifero nel cibo era una certezza. Marcel avrebbe preso un solo quadro e la carovana se ne sarebbe accorta soltanto arrivata in Bretonnia. A notte fonda, lesto come un gatto, Marcel arrivò al carro. Nonostante i primi capelli bianchi, il fisico di Marcel era ancora un fascio di nervi. Una vita di allenamenti lo avevano reso quello che era. Doveva portare vestiti larghi per dare poco nell’occhio e apparire un simpatico e gioviale locandiere. Da quando era a Linz, nessuno si era mai insospettito.

Come aveva previsto, l’uomo di guardia dormiva della grossa. Quando stava allungando le mani, per poco non gli prese un colpo. Si sentì sussurrare, alle spalle: “Ma Marcel, perché non ne prendi uno più grosso?”. Va bene che stava invecchiando, ma nella Gilda il Corvo era una quasi una leggenda, farsi prendere alle spalle non gli capitava da molti anni. Marcel non perse la calma, prese il dipinto che aveva scelto e si trascinò lo hobbit nella sua camera. Il mezz’uomo era spaventato, Marcel gli stava stringendo con troppa forza il polso. Doveva scappare? Appena entrati in camera, Marcel tornò calmo come al solito. “Sai come li chiamano quelli come te nella mia terra? Gavroche! Che diavolo avevi in mente?”. Il mezz’uomo si rivelò per l’ennesima volta sorprendente. Aveva seguito Marcel in molti dei suoi colpi, glieli sapeva descrivere minuziosamente. Forse per lo hobbit era un gioco, ma quel giorno in locanda probabilmente non era entrato un garzone, ma qualcuno che poteva essere degno di essere l’allievo del Corvo. Ecco cosa aveva di così speciale.

“Senti, forse hai talento. Se ti va, piccoletto, possiamo fare questo gioco insieme. Ma questo non è uno scherzo, è ancora più serio del lavoro in locanda. Qua se ci prendono, ci impiccano in piazza. Credo tu mi sia fedele, altrimenti mi avresti già potuto tradire. Che te ne pare, piccoletto?”. Lo hobbit guardò Marcel. In quello sguardo non vi era la solita curiosità. Vi era determinazione. “Va bene, capo. O dovrei chiamarti Corvo? Su non ti arrabbiare, ti ho seguito una volta fino a quella casa dove ti incontri con i tuoi amici. Tu, come tutti voi uomini, non notate i mezz’uomini…” Marcel sorrise. Quello era sicuramente il suo adepto. “Ah, Marcel… ma cosa ci guadagno ad aiutarti?”. Marcel scoppiò a ridere. Quel piccoletto avrebbe forse fatto meglio di lui.

Da quel giorno iniziò l’addestramento. Pugnale e balestra leggera. Manichini con dei campanelli che non dovevano suonare. Aprire serrature con forcine, coltelli, forchette, qualsiasi cosa poteva andare bene. Ma anche le lingue, i segni dei ladri, il bretone, il basso elfico. Era una grande fatica, di giorno la locanda, di notte l’addestramento.

La parte migliore era l’addestramento sul campo. Andavano al mercato e Marcel indicava un obiettivo. Lo hobbit doveva derubarlo senza che nessuno se ne accorgesse. Beh, era incredibile. Le vittime erano sempre ignare. Oppure, doveva scoprire chi si scopava quello o quell’altro. Non aveva problemi ad avvicinarsi, origliare e scoprire informazioni. Se si appostava, nessuno badava a lui, sempre se riuscivano a vederlo. La sua innata agilità gli permetteva di arrampicarsi senza apparente fatica. Stava iniziando a camminare sulla fune. Marcel non aveva mai visto nessuno farlo all’aperto con così pochi mesi di addestramento.

Un giorno lo hobbit era andato, di sua iniziativa, a rubare il distintivo al sergente della milizia e lo aveva portato a Marcel. Così, per mettersi alla prova. Quel piccoletto era un portento.

Il suono dell’orologio a cu-cu della cucina ridestò Marcel dal viaggio nei suoi ricordi. Lo spettacolo era terminato e gli avventori stavano ormai lasciando la locanda. Gli ospiti non erano molti, era ormai tempo di agire. Il mezz’uomo stava sistemando i tavoli, ma spesso il suo sguardo incrociava quello di Marcel. Aspettava un cenno. Era il giorno della Prova.

Avevano pianificato tutto nel dettaglio. Marcel era un po’ nervoso, era la prima volta che si portava il suo allievo per un colpo verso il colle. Lo considerava un esame, per capire se il mezz’uomo era davvero pronto. Avevano saputo che una piccola carovana trasportava una ricca borghese. L’anello che portava al dito valeva parecchie monete d’oro. Era un colpo audace, ma il clima era dalla loro parte. Il Corvo non era nemmeno convinto di riuscire a vendere un pezzo così unico, ma era più importante mettere alla prova l’allievo che non rivendere il gioiello.

Sapevano perfettamente che la carovana era in ritardo a causa della prima e inaspettata neve sul passo. Non potendo raggiungere Linz, avrebbero sostato ai piedi del colle, a notte fonda. Sicuramente avrebbero trovato i due uomini della scorta di guardia, ma la notte e le loro abilità li avrebbe aiutati. Marcel doveva occuparsi delle due guardie, cerbottana con il sonnifero per entrambi, una delle sue specialità. Nel frattempo lo hobbit sarebbe entrato nella tenda allestita per la signora, o sul carro. Bastava posarle sul volto il panno imbevuto dal sonnifero e sfilarle l’anello sarebbe stata una passeggiata.

Aspettarono che Alice si ritirasse nella sua camera e poi partirono. Il piano stava procedendo come previsto. I due si muovevano silenziosi. Avevano avvistato il fuoco da campo. Lo hobbit andò in avanscoperta. Tornò con ottime notizie. Le guardie erano due, a fianco del carro era stata allestita una tenda. Come avevano immaginato. Tutto troppo semplice? No, gli ottimi piani sono sempre semplici. È quella la regola. Ora toccava al Corvo. Si avvicinò senza muovere una foglia. I due sibili si percepirono appena. Le guardie smisero quasi immediatamente di parlare. “Seguimi” disse Kurtz. Bingo guardò verso la sua destra. Kurtz era vicino a lui ed aveva iniziato a muoversi verso la tenda. Il mezz’uomo lo seguì e arrivarono alla tenda. Dove era finito Kurtz? Non lo vedeva più. Un altro Sogno? Lo hobbit non perse tempo e aprì la tenda, passando dal retro, usando il pugnale. La donna dormiva, ignara di tutto. Le posò il panno sul volto e contò fino a 30, come aveva imparato, per essere sicuro che il sonnifero facesse effetto. Le sfilò l’anello. Un gemito da fuori interruppe la sua concentrazione. “Sbrigati e prendi il pugnale”. Ancora la voce di Kurtz. Che stava succedendo? Lo hobbit sguainò l’arma e sbirciò fuori. Si rese conto che una delle due guardie era stata solo intontita dal colpo di Marcel. Era riuscito a reagire, doveva aver usato una qualche arma da tiro. Marcel era a terra. Era forse morto? Non ci pensò due volte. L’uomo d’arme era forse troppo concentrato su Marcel, ma lo hobbit gli arrivò alle spalle senza problemi. Visualizzò mentalmente cosa aveva imparato. Le lezioni di Kurtz sull’anatomia erano incredibilmente più precise di quelle di Marcel. “Un taglio di pochi centimetri vicino allo sterno ti permette di raggiungere il cuore. Perdita di coscienza istantanea, morte in tre secondi”. Bingo colpì, senza esitazione. Quasi che quel colpo non fosse sferrato dalla sua mano. Il gesto durò per una frazione di secondo. Quanto serve per porre fine a una vita. O quanto serve per salvarne un’altra.

Marcel aveva un dardo conficcato nella coscia. Aveva perso i sensi, ma era vivo. Non sembrava una ferita mortale, ma come l’avrebbero giustificata in città? Ma il problema più urgente, era riportare Marcel a casa. Non aveva scelta, Marcel non glielo avrebbe perdonato, ma non aveva alternative. Non poteva fidarsi degli amici di Marcel, non erano veri amici quelli. Qualcuno avrebbe potuto approfittarne e farlo fuori. Il posto del Corvo nella Gilda era ambito. Certamente, per raggiunge quel prestigio e quella fama, si era anche fatto parecchi nemici. Tanti erano semplicemente invidiosi. Alcuni li avevi sentiti con le sue orecchie, mentre dicevano che il Corvo era un pazzo megalomane con la faccia di bronzo. Era troppo rischioso giocare a fare il locandiere. Ma erano i Fatti a dare ragione al Corvo. Quella commedia funzionava da anni.

A fatica, il piccolo mezz’uomo riuscì a nascondere Marcel, utilizzando alcuni rami. Non era il massimo, ma l’oscurità della notte lo avrebbe a sua volta nascosto. Doveva sbrigarsi. Si precipitò in città, svegliò Alice e le raccontò tutto. Uscirono con un cavallo e furono abbastanza veloci e fortunati per recuperare Marcel e tornare in città.

La locanda restò chiusa per qualche giorno, misero in giro la voce di un brutto febbrone che aveva colpito Marcel e che necessitava della loro completa assistenza. La ferita non accennava a guarire. Lo hobbit decise di ricorrere alla Gilda. Anche questa volta non aveva scelta. Gli indicarono un medico di un paese vicino che in cambio di un bel gruzzolo di monete sarebbe arrivato e non avrebbe fatto troppe domande. Lo hobbit decise di partire per cercarlo. Arrivò nella città vicina, riuscì a portarlo da Marcel e a farlo curare.

Con la guarigione di Marcel, la vita sembrava tornata alla normalità, il lavoro alla locanda era ripreso come al solito. Ma Alice era sconvolta per quanto successo. Come biasimarla? Suo padre si era quasi fatto ammazzare. Ed era un ladro, forse un assassino, o chissà che altro. E Bingo, il suo piccolo amico, era della medesima pasta. Alice però si sentiva soprattutto in colpa con sé stessa. Avrebbe dovuto capirlo, avevano un tenore di vita troppo alto per essere i proprietari di una piccola locanda. O forse a suo modo anche lei era complice… non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere. Marcel invece, dal canto suo, si sentiva in eterno debito con lo hobbit che lo aveva salvato. L’allievo aveva superato il maestro? Decise che era l’ora di farla finita, di giurare alla figlia che avrebbero smesso con quella vita, infondo avevano abbastanza denaro per poter vivere felici e pensare alla loro attività nella locanda.

Per il piccolo hobbit era giunto il momento di rimettersi in viaggio. Non era di certo fare il locandiere quello che desiderava. Aveva nuovamente parlato con Kurtz.

Questa volta gli diceva, semplicemente, ringrazia il tuo maestro e togli il disturbo. Così fece. Se ne andò nel cuore della notte, lasciando soltanto una lettera:

Ciao Alice,
in questi anni sei stata un’amica speciale. Ho imparato tanto da te, sai? Più di quanto tu possa immaginare. È stato bello giocare insieme. Scusami tanto per quanto successo. Spero che un giorno potrai perdonarmi. Sono sicuro che tornerai a cantare sulle note del mio flauto.

Marcel,
sei stato più di un capo. Sei stato un maestro. Non rammaricarti per quanto accaduto, sono stato io a volere seguire la strada che tu mi hai mostrato. Un giorno tornerò a salutarti, ma ora è giunto il momento di ringraziarti ed andare.

Il sempre vostro
Bingo

Rimettersi in viaggio. Gli tornò in mente il viaggio che aveva fatto per arriva a Linz dal Convivio. Gli era parso quasi una caccia al tesoro. Aveva raccolto informazioni dai viaggiatori che raggiungevano la sua casa, per sapere se questa Linz, che aveva sognato, esistesse davvero. Aveva camminato, viaggiato su carri di mercanti e su un postale. Era bello conoscere persone nuove, vedere luoghi nuovi. Lasciare casa non era stato di certo facile, ma infondo, era divertente restarsene nel Convivio e vivere giorni tutti uguali, a lavorare la terra, invecchiare e morire? Il Sogno era stato soltanto l’ultima e decisiva spinta ad andarsene. I suoi genitori erano certo dispiaciuti, ma non era di certo il primo mezz’uomo che lasciava il Convivio per andare a cercar fortuna nelle terre degli uomini.

Non aveva motivo di dubitare di quei Sogni. Ma era davvero dei Sogni, o era Bingo a chiamarli così, per convincersi di non essere pazzo? Erano così reali, a volta più reali della realtà. Non ricordava con precisione la prima volta che vide Kurtz. Era un uomo alto e snello. Capelli lunghi e bianchi. Anche la barba era bianca. Quel bianco stonava con il fisico dell’uomo. Quanti anni aveva Kurtz? Forse una quarantina. Io suoi occhi erano strani, son sembrava provare emozioni. Bingo stava dormendo, o forse stava pescando nel fiume. L’uomo si era seduto al suo fianco e gli aveva raccontato una storia, di uomini e draghi. Quando Bingo gli chiese quale fosse il suo nome, l’uomo rispose “Chiamami semplicemente Kurtz”.

Negli ultimi anni, Kurtz lo aveva aiutato molto durante l’addestramento con Marcel. Spesso sapeva cosa gli avrebbe insegnato il Corvo e sapeva dargli dei suggerimenti, quando qualcosa non gli riusciva. Gli mostrava come impugnare meglio il pugnale, oppure gli indicava quale vicolo imboccare quando qualcosa andava storto.

Da bambino probabilmente Kurtz era il suo miglior amico, il suo fratello maggiore. Ora era una Guida. Da piccolo ne aveva parlato a sua madre, ma lei non aveva dato molto peso a quella storia, che sembrava essere la fantasia di un bambino. Anche se in cuor suo, Peonia, temeva ci fosse ben altro. La notte in cui nacque Bingo aveva fatto uno strano sogno, di cui ricordava poco, forse una figura che le sussurrava qualcosa? Ma si era convinta si trattassero di allucinazioni dovute al travaglio. E poi, come le aveva detto suo marito, il fatto che la notte della nascita del loro primogenito era stata accompagnata da un’eclissi lunare, era soltanto una coincidenza. La famiglia Sottocolle, a differenza dei cugini Boffin, non era certamente composta da stupidi creduloni!

Il viaggio portò il piccolo hobbit a Middenheim. O era stato Kurtz a mandarlo li, nella La città del Lupo Bianco? Middenhiem era davvero una fortezza. Aveva sentito raccontare alla locanda di Marcel che le armate del Caos non avrebbero mai preso quella città. A vederla da fuori, quella storia era plausibile. Poteva essere molto divertente fare qualche “lavoretto” in quella città. Dopo aver varcato le porte, senza troppi problemi, Bingo voleva trovarsi qualcosa da fare. La sua copertura sarebbe certamente stato il lavoro in una locanda. Doveva cominciare a guardarsi intorno.

Ma prima di trovare una locanda, trovò dei simboli della gilda. Molto più interessante del lavoro in locanda. I simboli erano chiari: un incontro, tra poche ore. Se c’era ancora il segno, l’incontro era ancora valido.

Il luogo dell’incontro era una piccola e anonima piazza, non fosse stato per la presenza di una bella fontana. Si avvicinò a quell’uomo che chiedeva la carità. Gli lanciò una moneta d’argento nel piatto e gli sussurrò: “Quella la rivoglio indietro. Dimmi che hai da offrire”. L’uomo alzò appena lo sguardo e rispose: “Mi chiamo Donnola. Stai cercando un lavoro mezz’uomo? Mi servirebbe un socio per un colpo, facile facile… Come hai detto che ti chiami?” Lo hobbit guardò l’uomo e sorridendo, rispose: “Sono Gavroche, l’allievo del Corvo…”.

Intro

Ah, il grande parco di Middenheim a giugno, una pipa di radica e del finissimo tabacco nanico. Sgraffignato, ovviamente, quindi due volte più aromatico. Poche nuvole nel cielo azzurro, la temperatura mite, e l’erba verde sotto la tua schiena. Bella vita. Chiudi gli occhi per un attimo.

“Bella vita, eh?”
Riapri gli occhi. Kurtz è seduto sul prato vicino a te. Anche lui ha una pipa intarsiata in bocca e dal braciere si sprigiona un profumo straordinario.

“Dove hai preso quel tabacco?”
Kurtz ti guarda, evidentemente divertito. “Mia sorella ha proprio ragione.”
“Su che cosa?”
“Su di voi mezzuomini. Allora, come ti trovi qui alla rocca del Lupo?”
“Città straordinaria!”
“Davvero. Non ne troverai un’altra uguale da questa parte del mondo e se un giorno tu varcassi il mare, poche roccaforti degli Elfi reggerebbero il confronto. Ma veniamo a noi. Ho qualcosa da chiederti, mio caro Bingo.”

Kurtz parla pochi minuti. Preciso. Non ha bisogno di ripetersi, del resto non lo farebbe. Poi ti da un’affettuosa pacca sulla spalla, si alza e si incammina. Nessuno pare notarlo. O forse quella bella ragazza si è girata verso di lui? La tua concentrazione, però, non è sui suoi passi, ma su quello che dovrai fare nei prossimi giorni.

Kurtwallen, che schifo di paese. Triste all’inverosimile, anche se qualcuno ti ha detto che non è sempre stato così. Hai atteso il minimo sindacale per svolgere il tuo compito, ma sono stati due tra i giorni più lunghi e noiosi della tua vita. Poi arriva la sera giusta. Segui l’uomo che devi seguire. Straniero, ha pochi tratti degli uomini di queste parti, anche se indossa vestiti comuni: un evidente tentativo di confondersi con gli autoctoni. Incontra l’uomo che Kurtz ti ha indicato: uno scout, vestiti e simboli dei guardavia imperiali. Si scambiano qualcosa, poi lo straniero parte. Lo segui con discrezione per un’oretta e torni indietro. Il giorno dopo, aspetti che lo scout lasci la sua abitazione e dopo le assicurazioni del caso, vai a fare una visita di cortesia.

Nascondiglio fin troppo banale: un doppiofondo nell’armadio. Ignori il mantello nero con lo strano simbolo sopra. Scostandolo, trovi il secondo doppiofondo. Molti ci sarebbero cascati, non Bingo Sottocolle. Prendi con te le pergamene che hai trovato e vai ad aspettare i templari che Kurtz ti ha chiesto di aspettare. Arrivano poche ore dopo.

Hai dovuto faticare non poco, ma alla fine il vecchio templare del Lupo Bianco ti ha ascoltato, con il viso che passava man mano dall’altezzoso, al sospettoso, allo stupito.

“Bene, mastro Bingo. Visto che conosci così bene l’aspetto di quell’uomo dovrai farci da guida.”
“Ma certo, messere! È solo una questione di vil denaro…”

personaggi/bingo.txt · Ultima modifica: 2021/02/19 21:41 (modifica esterna)