Figlio di Drag il Protettore, protettore della Montagna e dei Valichi
della Tribù di Togund il Grande
Antica Tribù delle Mazze
Drag è il nome della divinità (maschio) protettrice della Montagna e dei Valichi.
Tutti i discendenti di sangue diretti di Drag vengono chiamati Figli di Drag.
Vi sono:
Togund il Grande, antico guerriero vissuto più di 2.000 anni fa, con la sua forza ed il suo coraggio portò in salvo quella che sarebbe diventata una delle più grandi Tribù delle Mazze di tutta la catena dei Monti ai Confini.
Si narra che lui ed il suo piccolo manipolo di compagni scelti sconfisse eroicamente un grande attacco di Gnalk Dente a Punta, uno dei goblin più spietati mai esistiti da quando la conoscenza viene tramandata di padre in figlio.
La leggenda racconta che Togund, in netta inferiorità numerica, sia riuscito nell’impresa di sconfiggere Gnalk grazie all’aiuto della divinità Drag, invocata da uno dei suoi compagni; il protettore dei Monti e dei Valichi con il suo potente mantello vegliò su di loro, aiutandoli ad arrivare di nascosto fino all’accampamento dei Goblin, e li, con un atto di coraggio estremo, Togund riuscì a sconfiggere il potente Gnalk trafiggendolo al cuore, facendo fuggire tutti i Goblin presenti nell’accampamento dopo aver seminato il terrore al loro interno.
Altezza: 183 cm
Peso: 75 kg
Corporatura: magra, non muscolosa, ma proporzionata
Capelli: marroni, mossi, lunghi fino alle spalle
Occhi: grigi
Viso: bei lineamenti, puliti
Barba: marrone, folta ma corta e ben tenuta
Accessori:
fascia indossata sulla fronte, fatta di stoffa scura, che sostiene e raccoglie i capelli, orecchini rotondi con piuma di aquila, collana lunga con artigli di orso
Vestiario:
pantaloni spessi in tessuto, gilet di stoffa (no maniche) indossato a torso nudo, mantello di pelliccia di orso bruno
Famiglia:
figlio di Grendal (padre, 45 anni, Sciamano Anziano della Tribù) e Reya (madre, 33 anni), primo genito di 4 fratelli, Tyeal e Varan (maschi, gemelli, 14 anni, sciamani iniziati) e Thokea (femmina, 5 anni), vive con loro anche Hunra (nonna, madre di Grendal, 61 anni)
È una mattina umida, le nubi si stanno diradando dopo una notte di pioggia leggera, la temperatura oggi è accettabile, la primavera inizia a farsi sentire anche qui da noi, sul Monti ai Confini.
Oggi per me è un gran giorno, è il mio diciottesimo compleanno, è il giorno della prova di coraggio!
Mi alzo velocemente dalla branda, infilo le vesti che ho usato ieri, frugo nella mia sacca alla ricerca di un po’ di carne secca, afferro l’otre d’acqua ed esco dalla mia tenda, addentando quel duro e salato pezzo di carne.
Mi dirigo velocemente verso il centro del villaggio, nello spiazzo antistante alle tende di Toyrin figlio di Togund in Grande, e di mio padre; voglio arrivare prima che si raduni troppa gente, non mi piace essere osservato da tutti questi curiosi che vorranno vedere la mia partenza per la prova.
Il sole inizia a fare capolino tra le montagne, Toyrin è in piedi davanti a me, alla sua sinistra c’è mio padre che mi osserva con aria seria, io direi preoccupata, anche se il suo sguardo non lascia trasparire la benché minima emozione; nello spiazzo si è già radunato un manipolo di curiosi, bambini e ragazzi, mamme e nonni, non vola una mosca, regna un silenzio quasi inquietante.
Dopo una decina di minuti di silenzio assoluto, irrompe di colpo il vocione di Toyrin:
“Caro ragazzo, ci siamo, oggi compi 18 anni, stai per passare alla fase adulta della tua vita, oggi avrà inizio la prova di passaggio che consacrerà la tua forza ed il tuo coraggio”.
“Dovrai recarti” prosegue Toyrin “fino al passo di Belanor, sui nostri amati Monti Ai Confini, dovrai rimanervi 7 giorni e 7 notti, dovrai proteggere il valico dagli attacchi degli sporchi Pelle Verde”.
“In questo periodo il passo è attraversato da diversi commercianti provenienti dall’impero, assicurati che transitino in piena sicurezza”.
“Che Drag ti protegga, figliolo, spero di rivederti adulto!” aggiunge mio padre.
“Ora vai, raccogli le tue cose e parti, cosa aspetti, fai ciò che Drag il Protettore si aspetta da te!” aggiunge Toyrin.
I primi cinque giorni passano pressoché senza nulla di fatto, qualche piccolo animale ma di Pelle Verde e mercanti neanche l’ombra.
La noia si fa sentire, oramai conosco a memoria i sentieri che partono e arrivano al passo di Belanor, la maggior parte battuti da grossi animali, cervi o forse orsi, non capisco.
Sta finendo anche il sesto giorno, quando inizio a percepire uno strano odore, ma non sembra un Pelle Verde, neanche un commerciante, non riesco a distinguere il profumo di spezie, di legname e di metallo, odori caratteristici che mi indicano l’arrivo di questi avidi affaristi.
Presto attenzione, l’odore arriva dalla parte opposta del valico; passano circa dieci minuti, vedo sbucare in lontananza una ragazza, le vesti sono ridotte molto male, l’aspetto sembra trasandato e stanco, cammina a fatica.
Non percepisco nulla di pericoloso in lei, esco allo scoperto e la ragazza quando mi vede inizia a piangere a dirotto e crolla sulle ginocchia.
Corro da lei, la sollevo e cerco di calmarla, purtroppo non comprendo la sua lingua; le offro un sorso d’acqua dal mio otre, sembra molto disidratata e bere un goccio d’acqua le fa riprendere colore in viso; lascio che si riprenda, nel frattempo il sole inizia a tramontare e faccio segno alla ragazza di seguirmi, voglio portarla al sicuro per la notte.
Lo sguardo della ragazza sembra cambiare di colpo, ora non è più disperato, ma sembra determinato: a gesti cerca di farmi capire di seguirla, io accetto, ma le faccio capire che sta per diventare buio, dobbiamo sbrigarci.
La ragazza mi porta ad una capanna estremamente malconcia, poco a ovest del passo, nel versante verso la repubblica, dalla costruzione sale puzza di sudore e sofferenza, capisco che li dentro deve esserci qualcuno di caro a questa povera donna.
Il tramonto e passato da tempo, accendo una torcia per farmi luce, non avverto nulla di pericoloso arrivare dalla casa, mi avvicino con cautela, ma la ragazza mi strattona con occhi disperati e fa segno di entrare.
Seguo la ragazza ed entro nella capanna, la vista di quello che mi si palesa di fronte mi lascia di pietra e dalla mia bocca esce involontariamente una imprecazione: una figura sdraiata su un pagliericcio, dalla pelle così scura da confondersi con la notte, quasi nera, sembra ombra, sudata, tremante, dal respiro affannoso; la donna si avvicina a questa figura, penso sia un maschio, sento che ripete più volte una parola che intuisco essere il suo nome, “Marcus”.
Mi avvicino per guardarlo meglio, faccio fatica a distinguere le sue sembianze, anche avvicinando la torcia, sembra quasi che assorba la luce; la ragazza mi guarda con gli occhi colmi di speranza, ma io non sono un dottore, sono un umile sciamano di una tribù delle Montagne.
Scuoto la testa, cerco di far capire alla ragazza che io non posso nulla su questa persona, bisogna portarlo via da qui e andare al mio villaggio; la ragazza inizia a piangere, sempre di più, mi fa gesti concitati indicando e chiamando spasmodicamente “Marcus”.
Proprio in quel momento, mentre scorgo per un attimo un movimento fuori dalla finestra senza vetri della capanna, mi arriva una folata di odore inconfondibile: è puzza di Goblin… maledizione, come ho fatto a non sentirli!
Di colpo dietro di noi la porta viene spalancata con un calcio, entrano tre Goblin, la ragazza viene colta in controtempo, lei non si è accorta di nulla, troppo assorta a disperarsi per il suo uomo.
Un Goblin con un colpo ben sferrato traccia un solco sull’addome della giovane donna, che ricade al suolo in una pozza di sangue, mentre l’altro si avventa sulla figura nera, rimanendo per un attimo disorientato, quasi non si aspettasse ciò che si è trovato davanti.
La terza bestia, invece, punta su di me: non mi faccio prendere dal panico, ricordo le parole di mio padre “Respira e concentrati, Drag ti aiuterà” e così faccio: in men che non si dica la forza fluisce dalle mie mani e il Goblin viene sbalzato in un lampo di energia contro la parete della capanna, rimanendo esanime.
Il Goblin che ha colpito a morte la ragazza sta già puntando su di me, con prontezza di riflessi riesco a mandare a vuoto il suo colpo e riesco a ribattere con un altro lampo di energia che lo disorienta, ma mi fa guadagnare tempo.
Il mio secondo colpo non lascia scampo al Goblin, cade senza vita a pochi passi dalla ragazza.
Il terzo Goblin, dopo aver infierito macabramente sul corpo dell’uomo nero, si gira verso di me, e guardandomi con disprezzo, si getta fuori dalla finestra e scappa nell’oscurità!
Rimasto solo, mi avvicino immediatamente alla ragazza, sta sputando sangue, non posso far nulla per aiutarla, la ferita è troppo profonda; mi prende la mano, mi strattona a lei e con un filo di voce mi ripete tre volte queste parole: “morte scura, morte scura, morte scur…”.
Povera ragazza, il destino non è stato clemente con lei e con questo uomo, la tristezza e la rabbia mi assalgono, ma queste due parole ripetute più volte in punto di morte non riesco a farmele andar via dalla testa: cos’avrà voluto dire con “Morte scura”?
Mi resta poco da fare al capanno, mi prendo ciò che mi spetta di diritto, le zanne di questi luridi Goblin, ricompongo i corpi dei due malcapitati, invoco una preghiera a Drag il Protettore che li accompagni nel lungo percorso verso le Montagne Sacre; esco fuori dal casolare e con la mia torcia do fuoco alla costruzione, che il fuoco li aiuti ad accelerare il percorso che li aspetta da questo momento.
Triste, ma con in testa quelle due parole pronunciate in punto di morte dalla ragazza, mi avvio per tornare al passo di Belanor, dove mi aspetta l’ultimo giorno prima del rientro all’accampamento.
Nell’ultima giornata non succede nulla degno di nota, nonostante ciò, la mia giornata viene turbata dall’immagine di quell’uomo così scuro e debilitato e dalle parole a me incomprensibili pronunciate da quella giovane donna; devo tornare al più presto e riferire a Toyrin e a mio padre.
Il mio rientro al villaggio viene festeggiato da tutti, i bambini ed i ragazzi mi salutano mentre passo e mi accompagnano fino allo spiazzo, dove ad attendermi trovo mio padre Grendal, avvisato del mio arrivo dagli schiamazzi dei più piccoli.
Basta uno sguardo a mio padre per capire che c’è qualcosa che non va. Ha ragione!
Gli chiedo se possiamo tralasciare la cerimonia e parlare noi due in privato con Toyrin, voglio riferire al più presto ciò in cui mi sono imbattuto durante la prova.
Arrivato Toyrin, inizio subito a raccontare ciò che mi è accaduto il giorno scorso: alla descrizione dell’uomo e alla pronuncia della parola “Morte Scura”, il sopracciglio destro del Grande barbaro si aggrotta per un momento, segno che qualcosa lo sta turbando nella mia descrizione.
Educatamente mi lasciano terminare il racconto, e, dopo alcuni minuti di silenzio Toyrin mi guarda e mi dice:
“Ragazzo, sei stato coraggioso e forte, la tua promozione non è in discussione, da oggi sarai considerato uno Sciamano Adulto a tutti gli effetti…. Ma… la parola “Morte Scura” non mi è nuova: ciò che mi hai raccontato è la conferma di alcune informazioni che alcuni scout nanici mi hanno riferito durante uno dei miei viaggi di perlustrazione nei territori vicino al villaggio.”
“Il nano mi raccontò che una terribile epidemia si sta abbattendo sulla Repubblica, chiamata proprio “Morte Scura”, usando il termine dell’idioma locale”.
“Nessuno al di qua delle montagna ha mai riportato i sintomi o le conseguenze che hai riferito, Brax”, continua Grendal, “la cosa è molto seria, se questa malattia inizia ad infettare genti anche da noi non dovremo e non potremo farci trovare impreparati”
“Per far ciò, l’unico modo che abbiamo per acquisire informazioni è mandare qualcuno nella Repubblica, aldilà delle Montagne Ai Confini” continua Toyrin
“Te la sentiresti?”
La domanda fatta all’improvviso mi disorienta, devo decidere ora.
Toyrin e Grendal hanno grosse aspettative su di me, non posso deluderli!
“Accetto! Quando volete che parta?”
“Anche subito, ribatte immediatamente Toyrin, non c’è tempo d’attendere!” dice Toyrin.
“Figliolo, ricordati sempre chi sei, un figlio di Drag, al di là delle montagne sarai solo, ma non perdere mai l’orientamento dato dalla nostra fede!” dice mio padre prendendo le mie spalle tra le sue mani.
Prima della partenza vado nella mia tenda, recupero tutto quello che può servirmi per il viaggio, saluto la mia famiglia, abbraccio mia nonna, spero di poterla rivedere un giorno, abbraccio la mia sorellina Thokea ed i miei due fratelli.
Mi incammino a piedi verso le montagne, tanti pensieri attraversano la mia testa in questo momento: non sono mai stato nella repubblica, una lingua nuova, un posto nuovo, gente nuova, pericoli nuovi… ma al pensiero di tutto ciò mi stimola e mi incuriosisce e spaventa allo stesso tempo.
Ma una sola cosa non riesco a togliermi dal pensiero: “Morte Scura” e l’aspetto di quel povero uomo che ho incontrato solamente ieri…
Li hai veduti ancora. Erano sempre sei. Ancora non hai capito come sia possibile, e soprattutto quale significato abbia.
Sei uccelli nel cielo. La prima volta, erano gli uccelli della primavera, qui nella Repubblica li chiamano rondini. Un’altra volta, corvi. Una terza, avvoltoi. E poi una quarta, e una quinta. Sempre uccelli diversi.
Prima uno solo, solitario, che si libra leggero nel cielo. Poi altri due, che volano appaiati, in perfetta armonia, come legati da un filo invisibile, cominciano a volteggiare attorno al primo. A questi due, se ne aggiungono altrettanti, anch’essi volano assieme, ma non perfettamente affiancati, sebbene l’uno segua i movimenti dell’altro, e viceversa. Poi un ultimo esemplare, punta dritto verso il primo uccello, sembra quasi voglia aggredirlo, per quanto assurdo possa sembrare. Sembra però che gli altri quattro vogliano proteggere il primo e in qualche modo, volando in cerchio o compattandosi, riescono a farlo. Poi i sei uccelli si allontanano, cinque tutti assieme e l’ultimo nella direzione opposta.
Da quando hai disceso le montagne e sei giunto nella Repubblica, non fai altro che assistere a quel fenomeno. Dovrà pur significare qualcosa, ma non riesci a capire cosa. Le tue pietre sacre tacciono, incredibilmente.
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Hai superato il tuo primo inverno nella Repubblica. Dopo aver girovagato per qualche tempo, ti sei reso conto di quanto sia rischioso restare in viaggio da solo, in tempi duri come quelli.
Hai trovato infine rifugio presso una fattoria della zona. Lavori nei campi, in cambio il fattore e sua moglie ti offrono cibo e riparo. In un villaggio lì vicino, hai incontrato un altro della tua gente, che vive nella terra della Repubblica ormai da anni. Ti sta insegnando la lingua, è molto premuroso nei tuoi riguardi. Proviene anche lui dalla Tribù delle Mazze, sebbene non dal tuo stesso villaggio. Non appena ha saputo che sei un figlio di Drag, si è messo a tua disposizione. E’ bello poter contare su qualcuno, finalmente.
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Quello che hai scoperto della Morte Scura, dopo quasi un anno trascorso nella Repubblica, è che colpisce chiunque, ricchi e poveri, forti e deboli, uomini e donne, giovani e vecchi. Hai visto morire avvolto nell’oscurità un uomo che aveva coraggiosamente salvato un gruppo di bambini dall’attacco di un lupo, tempo prima, ed anche un farabutto che aveva trucidato una famiglia di contadini per rubare quel poco che possedevano. Hai sentito della morte di un uomo tanto robusto che era in grado di sollevare da solo un tronco d’albero. La Morte Scura non fa distinzioni, né per i buoni, né per i cattivi, né per i forti.
Tu non la temi, però. La cosa ti sorprende, dopotutto è una minaccia che incombe su chiunque, toglie a quasi tutti la voglia di ridere, di giocare, di cantare. Eppure sai che non sarà la Morte Scura ad ucciderti. Forse perché il sangue di Drag ti protegge, non sapresti cosa ti rende così sicuro. Lo hai capito la prima volta in quella misera capanna, quando hai visto morire l’uomo e hai provato invano a difendere la donna dai goblin. Provi la stessa cosa la prima volta in cui ti capita di assistere alla morte di un altro malato, la moglie del fattore che ti ha ospitato.
Molti sostengono sia opera dei demoni, altri che sia stata portata dai pelle verde, alcuni che gli dei dell’Antico Popolo stiano punendo coloro che si sono convertiti all’Unico, altri ancora che sia proprio l’Unico a convertire chi ha abbandonato la retta via.
Non hai scoperto nulla di concreto, dunque. Quando sei sul punto di mollare, di fare ritorno mestamente al tuo villaggio, le pietre finalmente rispondo alle tue richieste. Il sole che sorge è il simbolo che esse ti rivelano, un giorno dopo l’altro.
Scorgi ancora sei uccelli nel cielo, poiane questa volta. Sei poiane tutte assieme … Quando chiedi lumi alle pietre, esse ancora una volta mostrano il sole che sorge.
Vai ad est, dunque. Affidi al tuo amico un messaggio per tuo padre, in modo che al tuo villaggio sappiano che stai bene e che sei ancora in cerca di risposte.
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Vai ad est, ogni giorno interroghi le pietre ed esse ti presentano sempre il simbolo del sole che sorge.
Poi, un giorno, esse ti mostrano il nord. Poi ancora l’est. E poi il nord.
Capisci che ti stanno guidando da qualche parte. Hai anche provato a proseguire in una direzione diversa da quella indicata, ed esse si sono subito ammutolite, cadendo incomprensibili a terra, come semplici e inutili sassolini.
Ti sembra assurdo proseguire a quel modo, vivendo con quel che trovi, facendo qualunque lavoro di fatica pur di sfamarti e trovare un riparo per la notte. E’ per questo che sei partito di casa?
Eppure, sai di non poter tornare indietro. Come potresti, dopo aver seguito per settimane quei segni, se essi continuano a mostrarti la via?
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Il giorno è arrivato. Te ne rendi conto quando improvvisamente nel cielo compaiono cinque falchi, che cominciano la danza consueta a cui i tuoi occhi ormai sono adusi. Il primo falco vola in larghi e dolci cerchi, gli altri due quasi all’unisono lo affiancano, la seconda coppia vola inseguendosi e scambiandosi posizione sempre in perfetta sincronia con gli altri. Manca il sesto falco. Lo attendi, invano. I cinque falchi cominciano a volare assieme, indistinguibili l’uno dall’altro. Il sesto falco, quello che aggredisce il primo, non si è visto.
Ti siedi in un angolo, troppo emozionato per guardarti attorno. E’ territorio selvaggio, comunque, dubiti che ci sia qualcuno ad osservarti. Estrai le tue pietre sacre ed effettui il rituale del lancio. Dopo settimane in cui altro non ha ricevuto se non indicazioni su dove proseguire, rimani esterrefatto dall’esito: il simbolo del fiore, seguito da quello della vita, e infine quello del pericolo. Come interpretarli? Ancora non lo sai, ma è chiaro che sei arrivato dove il Grande Spirito stesso ti ha guidato.
Quando alzi gli occhi, ti trovi dinanzi un uomo, in piedi, intento ad osservarti. Sei sorpreso, eri convinto di essere solo in una zona disabitata, eppure una parte di te aveva sentito che alzando lo sguardo lo avresti visto lì.
E’ un giovane, chiaramente originario della Repubblica, non molto alto e robusto, ma qualcosa nei suoi occhi lo rende comunque minaccioso. Tuttavia, il suo volto è meravigliato e sereno al tempo stesso. Proprio come il tuo.
«Vieni con me» ti dice semplicemente.
Lo guardi, combattuto tra l’impulso di acconsentire e la naturale diffidenza che ti spingerebbe a indugiare.
«Il primo segno era un fiore» ti dice lui, ed allora non puoi fare altro che seguirlo.
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Hai trovato ciò che il Grande Spirito ha voluto che cercassi, senza sapere perché. Ora, non hai idea di come comportarti. Il giovane ti ha condotto nella sua dimora, nascosta fra le rocce spigolose di una brulla collina. Ti ha raccontato molte cose, altre te ne dirà in seguito, non hai dubbi. E’ come se tu per lui fossi quello che lui è per te: ciò che stava aspettando. L’unica differenza, è che pensi che il giovane, Klaus è il suo nome, sapesse che tu saresti arrivato, un giorno. Hai provato a chiedergli qualcosa in proposito, ma è sempre elusivo su una certa parte della sua vita. Per il resto, ti racconta ogni cosa, i suoi poteri, i suoi segreti, il percorso che lo ha condotto in quella grotta. Tu fai altrettanto con lui, perché senti di poterti fidare. Non è stato forse il Grande Spirito a condurti da lui?
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Partite. Klaus non ti dice come ha saputo dove dirigersi. Tu non insisti. A te il Grande Spirito ha parlato con uccelli nel cielo e con le pietre sacre, immagini che abbia trovato il modo di comunicare anche con questo giovane uomo che, da quanto ti ha detto, non aveva mai creduto in niente.
Viaggiate verso nord-est. A volte, pagate per salire su una diligenza o una chiatta sul fiume, altre volte vi unite semplicemente a qualche carovana in viaggio offrendovi di usare le vostre conoscenze per aiutare, o rendendovi utile come potete. Mai usate il vostro potere, siete in viaggio in incognito e nessuno deve sospettare chi siete realmente. Sai che lo fate per un motivo specifico, ma ad ogni modo è una scelta prudente, la Morte Scura aleggia ancora ovunque andiate, chiunque sia diverso è visto in malo modo. E voi siete diversi, già ad una prima occhiata. Strambi, particolari, dovete almeno mostrarvi inoffensivi, per non essere presi di mira.
Finalmente valicate una catena di monti che Klaus chiama Il Dorso. Appena scesi sull’altro versante, la vostra vera ricerca comincia. Avete una sola traccia, un nome: Arthur Stein. Il tuo compagno non ti dice chi egli sia, perché lo stiate cercando. Credi che non lo sappia neppure lui.
Chiedete di villaggio in villaggio, di fattoria in fattoria. Viaggiare è molto pericoloso, ma non vi tirate indietro. Infine, lo trovate.
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L’uomo che si fa chiamare Arthur Stein non è come te lo saresti immaginato. Utilizza il tuo stesso potere, e non riesci a capire come. Non crede nel Grande Spirito, non crede in null’altro che in se stesso e nella propria missione.
Siete stati condotti nel suo rifugio segreto, bendati e caricati su un carro. Non sapete dove siete, e all’inizio neppure cosa ci fate al suo cospetto. Stein lascia passare alcuni giorni, valuta la vostra tenacia, la vostra fiducia in lui. Poi vi chiede di aiutarlo.
Passate le giornate ad esaminare documenti di ogni tipo: antiche pergamene, altri scritti su materiali che neppure immaginavi esistessero, vecchi tomi polverosi e antiche tavolette in pietra e terracotta piene di strani simboli. Esaminate brandelli di arazzo, frammenti di stoffa, oggetti di ogni tipo, alcuni antichi, altri più recenti. Non capite il significato di tutto ciò, eseguite soltanto gli ordini di Stein.
Tu, che hai da poco imparato la lingua più diffusa nella Repubblica, e che non sai leggere e scrivere se non qualche parola, vieni delegato a compiere i lavori più disparati. E poi ad accogliere quelli che Stein chiama “gli ospiti”. Sono persone che vengono condotte al rifugio da uomini armati, gli stessi che hanno portato lì anche voi. Vengono fatti entrare ancora legati e bendati, e affidati alle tue cure. Tu li accogli, dai loro da bere e da mangiare e li tranquillizzi, ci sai fare con le persone e la tua presenza è loro gradita. Poi le conduci al cospetto di Stein, che le interroga a lungo. Klaus ogni tanto assiste ai colloqui. Quando gli “ospiti” se ne vanno, tu li accompagni e dai loro quanto Stein ti dice: a volte del denaro, altre del cibo, in alcuni casi vestiti od oggetti di comune utilità.
Quando non lavorate per Stein, Klaus ti istruisce sulla scrittura delle lingue della Repubblica, stai apprendendo in fretta e ne sei felice. Più aumenta ciò che sai, più puoi essere utile a Stein. Egli è dotato di grande potere, è una figura carismatica, che vi tiene legati a sé e ormai non avete altra intenzione che di restare lì nel suo rifugio, accrescere i vostri poteri e capire dove condurrà la sua ricerca.
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Un giorno Stein vi dice di prepararvi, prendere poche cose e farvi trovare vicino all’uscita. Lasciate il rifugio. Non capite dove siete, è ancora notte, l’alba però non è lontana. Al sorgere del sole, vi trovate lungo una pista appena accennata nel terreno brullo di una pianura. Una carrozza molto elegante si ferma davanti a voi. Salite. A cassetta, oltre al guidatore c’è un uomo in armatura, chiaramente un soldato esperto. All’interno del veicolo, un uomo più anziano, dai lineamenti marcati e severi, chiaramente è un militare.
Stein vi ha preparati, mentre la carrozza si avvicinava: non parlate se non interrogati. Così fate.
Il viaggio dura tre giorni. Voi due, il guidatore e il soldato dormite all’addiaccio. Stein e l’uomo misterioso dormono sui sedili della carrozza.
Arrivate a destinazione. E’ un piccolo paese, hai imparato a giudicarli ad un primo sguardo nel corso del tuo lungo vagabondare.
«Eccoci a Korman» dice Arthur Stein, quando la carrozza si ferma. Sono le prime parole che gli sentite pronunciare da giorni.