“Gaelico, qui non c’è nessun…”
Smetto di prestargli attenzione immediatamente. Fottuto imbecille di un laurreniano, fa più rumore di un prete in una piazza. Quell’orso è vicino e se il vento gira, diventeremo noi le prede e lui il cacciatore. Ma forse so come fare.
Ecco, questo ramo di quercia è proprio comodo. Da qui vedo l’imbec…\\
“Gaelico!”
E strilla ancora! Padre, capisco le tue prove, ma così mi pare troppo e io devo concentrarmi. Toh, appunto, il crack di un rametto che si spezza, e non è stato il mezzo uomo mezzo checca qui sotto. Nay, dal fruscio direi che ci siamo. L’orso deve aver fiutato il fifone qui sotto.
Incoccare, tendere… L’orso esce dal folto del bosco e carica.
L’imbecille urla, fa cadere la lancia e si volta per una fuga che non gli riuscirà.
Blocca il respiro, mira con l’occhio e colpisci con la mente, giovane Declan. Così diceva sempre il maestro.
La freccia colpisce il bersaglio.
“Dannato bastardo di un gaelico, potevi avvisarmi! Me la sono quasi fatta nei pantaloni!”
Adesso gli appioppo un pugno sul naso. Mi deve la pelle e si lamenta.
“Ti lagni come un asino, François: sei ancora vivo. Adesso piantala di frignare, dobbiamo portare questa pelle al tuo villaggio.”
Duclan int-Finbar era un ragazzo di tredici anni quando il vecchio Fergus capì che avrebbe addestrato colui che finalmente lo avrebbe superato. Nonostante fosse un anziano sessantenne, Fergus era infatti ancora il miglior arciere del clan degli O’Hara e probabilmente dell’intero Eirnín Mara. Aveva insegnato a tutti i cacciatori del clan, ma non si era ancora imbattuto in un ragazzo o una ragazza con il dono.
Fino a quel giorno. Athlone, il villaggio al centro della valle degli O’Hara posta sul versante ovest degli Eirnín Mara, era in festa: un bel matrimonio come voleva la tradizione, con gli uomini che indossavano il korkan blu notte e argento e le donne con i capelli adornati di ghirlande di fiori. Nel grande prato tra il villaggio e il torrente c’era quasi tutto il clan: poco più di mille e cinquecento gaelici rumorosi e sorridenti che avevano assistito allo scambio di promesse degli sposi al cospetto dell’anziano Eogan, lo Stoirinnath più rispettato dell’Eirnín Mara e che si erano poi dati alle gioie del banchetto, delle danze e dei giochi.
V’erano gruppi di aitanti ventenni che si sfidavano al tiro alla fune, c’era chi cercava di impressionare le donne col lancio del tronco e chi tentava di conquistare la sommità del palo della cuccagna.
Fergus, dal canto suo, si teneva un po’ in disparte. Si mise a osservare una sfida a freccette.
“Whoo-ooo, un cinque e due quattro! Il ballo è mio!”
Pareva che il giovane Daniel, il figlio del maniscalco del villaggio, avrebbe danzato con Dàireen, la figlia maggiore di Finbar, il conciatore.
“Daniel, Daniel!”
Il piccolo Declan stava tirando la manica della camicia del vincitore. Fergus si fermò a guardare. Il ragazzino mise giù una specie di scusa, dicendo che avrebbe partecipato per salvare l’onore della sorella. Era ovviamente una pantomima e nessuno si sarebbe offeso. Tanto più che la faccia da schiaffi del ragazzino lo metteva al riparo da ogni tentativo di prenderlo sul serio. Declan int-Finbrar prese tre freccette. Tirò la prima e prese il centro.
“Tutta fortuna!”
Ancora centro.
“Ma cos…”
Terzo centro di seguito.
Calò per un attimo il silenzio, poi partirono le solite raffiche di scherni rivolti a Daniel battuto da un bamboccio, seguite da un’ulteriore scenetta dove Declan permetteva comunque a Daniel di ballare con sua sorella. Ridevano tutti, tranne Fergus. Il vecchio rimase immobile, mentre il gruppetto di lanciatori di freccette riprendeva a danzare con le ragazze. Declan andò a recuperare i dardi dal bersaglio e ritornò sulla linea. Fece due passi indietro. Tirò. Tre centri.
Fergus aveva visto abbastanza.
Il giorno dopo andò a parlare con Finbar e due giorni dopo cominciò ad addestrare il giovane Declan.
Sei anni dopo quel matrimonio e due anni dopo la serena dipartita del vecchio Fergus, Declan viveva come quelli che passano la maggior parte della propria vita tra i verdi paesaggi dell’Eirnín Mara: provvedeva ai bisogni della sua famiglia e del clan, metteva da parte qualcosa per sé e per la futura moglie e pensava a dove avrebbe costruito la sua casa. Il suo maestro d’arco, però, aveva visto giusto: era diventato il miglior tiratore del clan prima che gli spuntasse la barba. Era un cacciatore estremamente abile e nonostante la giovane età nessuno eguagliava il quantitativo di pelle e carne che lui procacciava. Questo permetteva a Declan di scherzare con gli altri cacciatori, salvandosi grazie alla sua ben nota propensione allo scherno senza malvagità. L’evento che trasforma un uomo da figura di contorno a personaggio degno di una storia accadde poco dopo il suo diciannovesimo compleanno.
L’inverno era stato piuttosto freddo e il gelo che resisteva ancora nel mese di marzo non era l’unica cosa insolita, nell’Eirnín Mara. Declan, e con lui chi era solito percorrere le terre in cerca di selvaggina, aveva notato più volte strane tracce: qualcuno aveva cancellato i segni del proprio passaggio, in maniera relativamente rozza. Quando provava a parlarne con chi era più anziano di lui otteneva sguardi evasivi e risposte elusive. Al chiuso delle case e attorno al fuoco dei caminetti e dei falò tornò a strisciare una paura che i più giovani non avevano conosciuto e che i più anziani avrebbero voluto rimanesse nel passato: si cominciava a temere il ritorno degli orchetti.
Declan era stranamente inquieto, quando venne il giorno. Il giovane era a caccia a circa due ore di cammino a nord del villaggio e stava per entrare in una radura, quando udì uno strano rumore. Come era abituato a fare, si arrampicò su un albero, incoccò una freccia e tese l’arco. Pochi istanti dopo un orchetto sbucò da dietro il tronco di un albero. Declan non aveva mai visto un orchetto e per un lungo attimo la sua mente fu sommersa da una ridda di emozioni contrastanti.
Mentre il pelleverde si avvicinava all’albero su cui si era nascosto, il giovane recuperò la concentrazione. Non sentì né vide altri orchetti, doveva essere un esploratore. Se l’avesse abbattuto, avrebbe dovuto tornare indietro di corsa, per avvisare la gente al villaggio. E se nei pressi ci fossero stati altri…
La sua indecisione non durò a lungo. L’orchetto si fermò, guardandosi improvvisamente attorno. Declan lo sentì annusare e capì che non gli restava molto tempo.
Tirare per la prima volta su un uomo può essere un problema, ma il suo bersaglio non era paragonabile a un essere umano, nonostante camminasse su due gambe e avesse due braccia con due mani alle estremità. Declan mirò, bloccò il respiro e scoccò. L’orchetto guardò in su, forse accorgendosi del fruscio, ma per lui era troppo tardi: la freccia lo centrò in pieno petto. Il pelleverde cadde con un grido strozzato.
A quel punto le emozioni trattenute travolsero il giovane gaelico. Declan scese rapidamente dall’albero e si mise a correre, per raggiungere rapidamente il villaggio. A metà del tragitto, ci fu un’altra di quelle coincidenze che contribuiscono a plasmare il destino di un uomo: saltando una radice, Declan mise un piede in fallo e rotolò malamente su un declivio. Quando fece per rimettersi in piedi, il cacciatore sentì un dolore lancinante alla caviglia sinistra. In quel momento, frustrazione e ira prevalsero e Duclan imprecò urlando e chiese a tutti gli dei che gli vennero in mente se fosse giusto quello che gli era capitato, di aiutarlo e di permettergli di andare avanti. Il bosco fu rischiarato da un bagliore improvviso e il giovane sentì un formicolio che gli intorpidì l’intera gamba. Poi il dolore svanì, come se non fosse mai stato con lui. Troppo scosso per riflettere a fondo sull’accaduto, Duclan si alzò in piedi e riprese a correre. Anni dopo, Eogan gli avrebbe spiegato che il bagliore che ogni tanto emanava da lui aveva avuto origine in quel momento, poiché nulla è concesso in cambio di nulla.
Arrivò trafelato e impiegò qualche minuto a cercare di raccontare quello che era successo agli energumeni che sapevano brandire un’arma ed erano per questo volti a garantire la sicurezza del clan. Proprio mentre cercava di spiegarsi per la terza volta, un grido di terrore attraversò l’aria.
Lo scontro fu duro. Gli orchetti fecero alcune vittime e razziarono diversi capi di bestiame, ma poiché molti guerrieri erano stati messi sul chi vive, dovettero ritirarsi alla svelta. Fu così che Declan int-Finbar perse suo padre.
Negli anni che seguirono, il ragazzo, messo definitivamente davanti alle difficoltà della vita, divenne un uomo. Doveva provvedere alla madre, aiutandola come poteva. Con il ritorno dei pelleverde, la vita nell’ Eirnín Mara era diventata più difficoltosa. Il clan O’Hara era unito, ma povero. Declan non fu l’unico costretto a barcamenarsi per venire a capo dei debiti. Fu allora che cominciò ad accettare di fare da guida, da scout, da cacciatore su commissione. Tutto ciò che gli permetteva di mandar del denaro a sua madre e a sua sorella era benvenuto, ma il gaelico non sconfinò mai nell’aperta disonestà.
“Una… due… e tre. Dannazione, gaelico, in fondo non si può dire che vali la spesa.”
No, non lo puoi dire, pallemosce, senza di me saresti morto. “Vero.”
“Che cosa farai adesso?”
“Berrò alla tua salute. Giusto, Padre?”
“Parli con i morti o ti rivolgi direttamente all’Unico?”
“Vedi Laurreniano, un gaelico non può far altro che parlare con l’Unico, poiché Egli è il solo capace di non fargli domande idiote.”